GLI ANNI 1950-1979 : SI INTENSIFICANO GLI INTERESSI PETROLIFERI PER RAGIONI ANCHE DI BENESSERE SOCIALE (IL FALLIMENTO DELLA NAZIONALIZZAZIONE PETROLIFERA IRANIANA). - paolomonzo

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GLI ANNI 1950-1979 : SI INTENSIFICANO GLI INTERESSI PETROLIFERI PER RAGIONI ANCHE DI BENESSERE SOCIALE (IL FALLIMENTO DELLA NAZIONALIZZAZIONE PETROLIFERA IRANIANA).

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L’IRAN invece, a differenza di quanto avvenuto in ARABIA SAUDITA con l’accordo petrolifero tra USA e ARAMCO al 50%, , riteneva che le compagnie petrolifere internazionali sul suo territorio tenessero per sé la quasi totalità dei profitti. Anzi L'Iran chiese alla Anglo-Iranian Oil Company (AIOC) un'analisi della contabilità per stabilire se tutte le royalty erano state effettivamente pagate, ma la Compagnia oppose un rifiuto intransigente che infastidì il popolo iraniano.
Così Alla fine del 1951 il parlamento iraniano approvò quasi all'unanimità l'accordo sulla nazionalizzazione del petrolio; Il disegno di legge generò una grande ondata di nazionalismo, ma allo stesso tempo mise l'Iran contro i britannici. Per la prima volta dopo secoli molti iraniani sentivano che il controllo degli affari interni stava passando nelle loro mani; si era inoltre diffusa la convinzione che la nazionalizzazione avrebbe portato ad un aumento del benessere economico.


Per la la tensione che ne derivo’ con i Britannici che vedevano ridursi i propri profitti petroliferi in base a tale nazionalizzazione, il premier Iraniano Mossadeq propose un accordo col quale i profitti sarebbero stati divisi al cinquanta percento tra Iran e Regno Unito, ma quest'ultimo, contro persino le raccomandazioni degli Stati Uniti, rigettò il compromesso ed iniziò a indebolire il governo iraniano.


La Compagnia Petrolifera Nazionale Iraniana comincio’ infatti a subre un calo di produzione a causa non solo dell'inesperienza degli iraniani ma anche degli ordini impartiti ai tecnici della AIOC di non lavorare con loro: iniziò così la crisi di Abadan. Nel settembre 1951 i britannici avevano praticamente fermato la produzione di petrolio ad Abadan, vietarono l'export di commodities essenziali (tra cui zucchero e ferro) all'Iran e congelarono i conti correnti dell'Iran nelle banche britanniche. Il primo ministro britannico Clement Attlee , anzicche occupare con la forza l’AIOC, si limitò a stabilire un embargo da parte della marina inglese fermando tutte le petroliere che trasportavano petrolio iraniano considerandolo «proprietà rubata».


Il Regno Unito portò il caso alla Corte internazionale di giustizia a L'Aia ma perse. Nonostante ciò i britannici mantennero l'embargo sul petrolio iraniano;
«La Gran Bretagna stava supportando gli americani in Corea, per cui non mancarono occasioni in cui Churchil ricordò a Truman che gli Inglesi avevano il diritto di aspettarsi che americani e inglesi fossero uniti sull'Iran».
Il governo Iraniano di Mossadeq, cercava aiuto da Truman e dalla Banca Mondiale, ma senza risposte efficaci.
A peggiorare le cose ci fu il partito comunista iraniano del Tudeh, che sosteneva l'Unione Sovietica e aveva tentato di assassinare lo scià solo quattro anni prima: esso iniziò ad infiltrarsi nei militari [22] ed invitò le masse apparentemente a «supportare Mossadeq» con lo scopo di marginalizzare i suoi oppositori (e quindi le forze inglesi che remavano contro la nazionalizzazione petrolifera dell’Iran).


Preoccupato per gli interessi britannici in Iran e, grazie al Tudeh,[9] facendo credere che dietro il nazionalismo iraniano ci fossero davvero i sovietici, il Regno Unito convinse il segretario di stato statunitense John Foster Dulles che l'Iran stava cadendo in mano all'Unione Sovietica, e che proprio il confine con l'URSS rendeva strategicamente appetibile un Iran filo-americano che si aggiungeva alla Turchia, membro della NATO e anch'essa confinante con i sovietici.


A metà del 1953 i seggi in parlamento del Fronte Nazionale ( che racchiudeva i liberali e i nazionalisti e il partito comunista del Tude ) si erano ridotti dopo una serie di dimissioni. Il premier Iraniano Mossadeq indì un referendum per dissolvere il parlamento e dare al primo ministro il potere di fare le leggi.[1] Il referendum passò (con il 99.9% dei voti).
Lo Scià, pressato tra i nuovi poteri che il primo ministro intendeva attribuirsi e l’influenza anglo-americancana con la preoccupazione anglo-americana di una invedenza sovietica dietro il nazionalismo petrolifero iraniano, si rese disponibile al Golp organizzato dagli Anglo-Americani.
Essendo così Washington sempre più preoccupata che la crisi iraniana potesse spalancare la porta ai sovietici, la strategia britannica si rivelò vincente e nel 1953, con Eisenhower presidente, gli USA acconsentirono a fare un colpo di stato in comune con il Regno Unito.[23] «La cooperazione angloamericana in quell'occasione tirò giù il primo ministro iraniano Mossadeq e reinsediò lo scià appoggiato dagli USA.
Nel farsi carico dell'operazione gli statunitensi posero comunque come condizione la fine del monopolio della AIOC (sul petrolio Iraniano), che sarebbe stata affiancata dopo il colpo di Stato dalla Royal Dutch Shell, dalla Compagnie Française des Pétroles e dalle maggiori compagnie petrolifere USA.


Un'immediata conseguenza del colpo di stato fu la soppressione di tutti i dissidenti politici repubblicani[9], specialmente il Fronte Nazionale che racchiudeva i liberali e i nazionalisti e il partito comunista del Tudeh, concentrando il potere politico sullo scià e i suoi cortigiani.
Un'altra conseguenza del golpe fu il marcato miglioramento dell'economia iraniana. L 'embargo degli inglesi finì, e i ricavi petroliferi superarono significativamente i livelli pre-nazionalizzazione.
Nonostante l'Iran non controllasse il proprio petrolio, lo scià acconsentì a sostituire la Anglo-Iranian Oil Company con un consorzio composto dalla British Petroleum ed altre compagnie europee ed americane. Di conseguenza i ricavi petroliferi aumentarono anche grazie all'aiuto dei consiglieri e aiuti economici statunitensi. Il governo dello scià tentò di risolvere la questione della nazionalizzazione con questo metodo, e l'Iran iniziò a svilupparsi rapidamente durante il suo regno.


In questo contesto degli anni ’50 che videro la luce del CONSORZIO PETROLIFERO, si inserisce anche l’ingresso in IRAN dell’azienda Italiana dell’ENI, ma in modo del tutto particolare, poichè si apprende che MATTEI intuì subito la necessità di trovare un canale verso l’Iran alternativo al Consorzio.” poichè quest’ultimo aveva carattere esclusivamente politico.
Pertanto il merito di MATTEI fu quello di pervenire nel 1957 ad un accordo con l’IRAN (accordo ENI-NIOC) , per partecipare ad un’impresa di ricerca e sfruttamento petrolifero in Iran, a parità di condizioni con enti iraniani. L’eventuale società avrebbe dovuto prevedere la partecipazione al 50% di un ente o gruppo italiano e per il restante 50% di un ente o gruppo iraniano, inoltre tale società avrebbe potuto ottenere dei permessi di ricerca per tutto il territorio iraniano, ad eccezione delle zone del Consorzio, fino ad un massimo di 12 permessi da 20.000 Ha. ciascuno. Per tale accordo l’interlocutore Iraniano principale fu lo Shah Reza Pahlavi piu’ che il presidente del NIOC.


L’accordo dell’ENI andò a buon fine noto come Il Petroleum Act , ufficialmente in vigore dall’8 Settembre 1957, nonostante la contrarieta’ degli USA che tentò anche di farlo annullare dallo Scià.
La preoccupazione principale (delle compagnie Anglo-Ammericane) era infatti quella di mantenere i termini dell’accordo stipulato dal Consorzio sul pattuito 50% (dei profitti alle Compagnie) e il 50% (dei profitti al governo Iraniano), ed eventualmente di ottenere nuove zone (di estrazione) mantenendo lo stesso tipo di contratto.
Infatti la cd formula Mattei offriva la possibilità agli Stati di diventare operatori entrando in joint venture con Eni Agip, con la conseguenza che la ripartizione dei profitti non sarebbe più stata operata sulla base dello storico fifty-fifty ma si sarebbe giunti a quel 75% e 25%, (la cosiddetta “formula Mattei”,) .
Così la questione del contratto iraniano dell’ENI cd “ Il Petroleum Act “ stava uscendo dai confini del paese, anche perché l’ENI si premurò di inviare copie del contratto con la NIOC a tutti i paesi con risorse petrolifere che potevano essere interessati a stipulare un accordo dello stesso tipo (Bolivia, Cile, Indonesia, Venezuela, Svezia).


Petanto cio’ rese preoccupati in particolare gli americani, temendo che l’Italia tramite Mattei potesse diventare una pedina della strategia di penetrazione sovietica nel “Terzo Mondo”.


Negli anni settanta lo Scià aumentò le tasse per le compagnie straniere dal 50 all'80% e le royalties dal 12.5 al 20%. Allo stesso tempo il prezzo del petrolio ritornò sotto il controllo iraniano.
Lo Scià dichiarò perfino che non avrebbe rinnovato le concessione del 1954 al consorzio petrolifero (costituito dalle compagnie petrolifere occidentali) quando sarebbero scadute nel 1979, e stava diventando sempre più indipendente dagli USA.


Così nel 1978 il presidente Jimmy Carter ritirò il sostegno americano quasi completamente quando le proteste di Khomeyni imperversarono in tutto l'Iran , lasciando cosi al loro destino sia lo Scià che l'Iran.
Ma la tensione dei rapporti USA-IRAN degenerò scoppiando definitivamente sul finire degli anni ’70, non a caso proprio nei confronti del personale diplomatico dell’Ambiasciata USA.
La prima spettacolare crisi fra i due Paesi - (Persia e poi Iran e USA) - risale proprio al novembre del 1979 con il sequestro di 52 dipendenti dell'ambasciata americana che furono liberati solo 14 mesi dopo.
Quel sequestro servì al neonato regime per legittimarsi davanti al mondo, per chiedere e ottenere il principio di non ingerenza ma fu anche una eclatante manifestazione di antiamericanismo, sentimento che era latente negli anni dello Scià al potere, e divenne invece esplosivo e violento con il regime appena instaurato.
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